Documento politico


Questo documento è frutto di un confronto collettivo tra realtà di lotta della metropoli milanese. Un percorso di condivisione e analisi che nasce all’interno dell’organizzazione del ventesimo anniversario di Dax.
Perché la memoria diventi occasione per leggere il presente e strutturare le lotte future.

DAX: DA VENT’ANNI LE NOSTRE RADICI,
PER SEMPRE LA NOSTRA STELLA

Davide “Dax” Cesare era un ribelle, un antifascista militante, un proletario, lavoratore e padre. Passava le giornate guidando un camion per portare a casa lo stipendio e mantenere una figlia piccola. La sua personalità era contraddistinta dalla passione per gli sport da combattimento, dalla spavalderia di un giovane ventiseienne e da una profonda generosità. Era sempre in prima linea contro le ingiustizie di questa società: da antifascista militante lottava con entusiasmo a difesa delle occupazioni nei quartieri popolari.
Sono passati 20 anni da quando tre infami neofascisti lo hanno ucciso, strappandolo alla sua famiglia e ai suoi amic* e compagn*.
Il suo ricordo rimane indelebilmente impresso nei cuori di chi l’ha conosciuto e amato. La sua più grande eredità è quell’istinto a ribellarsi e continuare a lottare.

Cuori spezzati, abbiate fede nei vostri morti! Essi non soltanto sono radici sotto le pietre macchiate di sangue, ma le loro bocche mordono ancora esplosivo e vanno all’attacco come oceani di ferro e ancora i loro pugni levati smentiscono la morte.

Pablo Neruda

16 MARZO 2003: LA NOTTE NERA

Via Brioschi e il San Paolo

Nel 2003 il Ticinese è un quartiere che, nonostante le forti trasformazioni speculative, mantiene una storica identità antagonista. Vi hanno sede spazi come Cox18, la libreria Calusca, il Circolo anarchico dei Malfattori, il Comitato Casa e Territorio, le case occupate di via Gola, Torricelli e Lagrange. In tempi più recenti si sono radicate nuove realtà, come la R.A.S.H. Milano e l’O.R.So. (Officina della Resistenza Sociale), uno spazio occupato in via Gola 16 in cui si organizzano il collettivo A.R.E.A. (Autorganizzazione Resistenza E Antifascismo), il Comitato di Lotta per la Casa e le compagne delle Autsisters. Il 16 marzo, come ogni domenica sera, Dax e i suoi amici escono insieme per le strade del quartiere: la serata si conclude al Tipota di via Brioschi, uno dei locali frequentati da skins, punx e compagn.
Verso le 23 tre neofascisti, padre e due figli, arrivano fuori dal locale armati di coltelli. Dax si mette davanti, li affronta, non scappa. Riceve dieci coltellate: colpito immediatamente alla gola e in altri punti vitali, cade al suolo in una pozza di sangue. Vicino a lui c’è Alex, accoltellato alla schiena, che rimane a terra e sarà poi operato d’urgenza ai polmoni. Un terzo compagno, Fabio, è ferito. Tutto si svolge in pochi secondi e, dopo aver colpito vigliaccamente, i tre aggressori si dileguano.
Sul posto sopraggiungono subito diverse auto di polizia e carabinieri. Le strette strade tra via Brioschi e via Zamenhof sono ostruite dalla presenza delle macchine delle forze dell’ordine, causando il significativo ritardo delle ambulanze bloccate a distanza nel traffico. Contemporaneamente diversi compagn* e amic* arrivano sul posto, trovando uno scenario di sangue e concitazione. Dopo la partenza delle ambulanze arriva una camionetta della celere, scende il reparto in assetto antisommossa, si avvicina ai presenti che li respingono con grida e insulti.
Al pronto soccorso dell’ospedale San Paolo, già presidiato da polizia e carabinieri, una ventina di compagn* aspettano notizie. Quando il medico comunica loro la morte di Dax esplodono rabbia, dolore e disperazione.
Nel frattempo si moltiplica, dentro e fuori dall’ospedale, la presenza di forze dell’ordine. La tensione è altissima. Gli sbirri iniziano subito a provocare, insultando Dax (“uno di meno”) e i compagn* presenti. È scontro. Nessuno ha intenzione di subire passivamente le provocazioni.
I reparti antisommossa, già schierati da tempo, percorrono rapidamente il vialetto che porta all’ingresso del pronto soccorso e si scatenano brutali cariche dentro e fuori la struttura. Sono lunghi minuti di pura violenza poliziesca durante i quali gli agenti con manganelli, calci, pugni e mazze da baseball si accaniscono sui compagn* spaccando teste, nasi, denti, braccia, picchiandoli, immobilizzandoli a terra e ammanettandoli sanguinanti. Mentre il pronto soccorso viene occupato e chiuso dalle forze dell’ordine, medici e infermieri si mobilitano per soccorrere i feriti.


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La responsabilità di questa mattanza non è da ricercare negli eccessi dei singoli agenti, ma risiede nella catena di comando dei reparti presenti. L’obiettivo dell’operazione è chiaro: reprimere preventivamente le possibili risposte militanti all’omicidio fascista.

La macchina della disinformazione e l’ingiustizia dei Tribunali

I giorni successivi questura e giornalisti tentano di ridurre i fatti a una banale “rissa tra balordi”, nascondendo la matrice politica dell’accaduto.
Nonostante la presenza di prove evidenti, come filmati amatoriali che hanno ripreso i pestaggi indiscriminati e le tante testimonianze rilasciate dal personale medico sanitario, il processo per i fatti del San Paolo si conclude nel 2009 con la piena assoluzione di polizia e carabinieri e le condanne a un anno e otto mesi per due compagni accusati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Alla condanna penale si somma una multa per un totale di 130.000 euro tra spese processuali e risarcimenti, un vero e proprio ergastolo pecuniario.

La Campagna 130mila

Nel 2011 comincia il pignoramento di un quinto dello stipendio, tuttora in corso, ai danni di uno dei condannati e dei suoi figli (essendo il provvedimento ereditario). Lo Stato decide di attaccare una lotta collettiva colpendo i singoli individui che ne sono parte nelle loro fonti di sostentamento. Un dispositivo repressivo che dal 2003 è stato riproposto in maniera sistematica in altri contesti, come nel caso del movimento Notav, delle lotte sociali a Brescia, della manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma e di altre ancora.
La campagna 130mila ha raccolto solidarietà in tutta Italia: da oltre dodici anni si susseguono benefit e iniziative che permettono al compagno di essere risarcito puntualmente di quanto gli viene sottratto dallo Stato.
Al San Paolo esattamente come alla Diaz: massacro, menzogne, condanne.
La nostra è una verità scritta nel sangue, che nessuna ricostruzione giuridica di comodo potrà mai cancellare.

La memoria è un ingranaggio collettivo

Nel ventesimo anniversario della Notte Nera di Milano, il ricordo di Dax e degli scontri all’ospedale San Paolo si declina attraverso quattro giornate di memoria e di lotta capaci di comprendere diverse tematiche e di rendere protagoniste le nuove generazioni.
Il significato di questa memoria risiede nel costruire una consapevolezza profonda di come agisce lo squadrismo fascista, di cos’è la brutalità poliziesca e di come la magistratura sia in grado di coprirla e legittimarla. Infine, conoscere il ruolo dei media nella distorsione della verità, nell’omissione della matrice politica dall’accaduto e nella criminalizzazione di Dax, dei suoi compagni e delle sue compagne.
La nostra verità e la nostra storia sono state scritte dal basso, attraverso le testimonianze e la documentazione raccolte nel corso degli anni e diffuse attraverso comunicati, mostre, dossier, un libro e dei video che hanno permesso di far conoscere i fatti della Notte Nera in tutta Italia e non solo.
In questo lavoro non abbiamo mai voluto assumere un tono vittimistico, ma di rivendicazione. Abbiamo rivendicato l’identità politica di Dax ucciso perché militante antifascista e anticapitalista.
In America Latina si dice “No lo enterramos, lo sembramos”: non lo abbiamo seppellito, lo abbiamo seminato.
Da questo seme sono nati progetti, relazioni, eventi, analisi e pratiche che si proiettano verso il futuro radicandosi nel passato, riconoscendosi parte di una storia di lotta più grande che delinea la continuità tra l’antifascismo storico e quello attuale.
Quest’anno la memoria di Dax si unisce a quella di Fausto e Iaio, uccisi dai fascisti il 18 marzo del 1978, a segnare una continuità tra queste figure all’interno della storia di Milano. Una storia viva nella quale riconosciamo le nostre stesse radici, la nostra identità politica, una storia che ci ricorda da dove veniamo e ci orienta verso il futuro. “Nella notte ci guidano le stelle” sono le parole scelte per le giornate del marzo 2023 perché questi compagni continuano a illuminare la strada della lotta.
Dopo vent’anni la memoria trova nuovi significati grazie alle generazioni più giovani che, pur non avendo vissuto personalmente gli eventi, si sono assunte la responsabilità di essere parte di questo ingranaggio collettivo, inseguendo lo stesso sogno di Dax, con lo stesso coraggio ed entusiasmo. Giovani che oggi sono i suoi compagni e le sue compagne.

FASCISMO

Lasciate da parte i litigi, mettetevi insieme, (…)
cercate di capire che il fascismo c’è già, (…) che altre generazioni ancora moriranno o avranno una vita a metà, macellate dalla miseria se voi non riuscirete ad agire.
Fate quello che c’è da fare, scoprite nella rivoluzione la vostra umanità ed il vostro amore.
Trasmettete il segnale di fuoco!

G. JackSON


Negli anni successivi alla Notte Nera si registra una fase di escalation di aggressioni fisiche e incendi a spazi sociali che continuano per alcuni anni a Milano e in Italia. La maggior parte di questi attacchi rimane impunita, mentre si assiste a una stretta repressiva contro il movimento antifascista milanese, con denunce, arresti e lunghe detenzioni.
Dopo questa fase la strategia dei fascisti si modifica, ponendosi come obiettivo la crescita della propria agibilità attraverso la creazione di associazioni non immediatamente riconoscibili, dedite al volontariato o allo sport. Questo “mimetismo sociale” ha permesso a gruppi, come Lealtà Azione, di conquistare una sempre più diffusa legittimazione e copertura politica da parte di partiti, tra cui Lega Nord e Fratelli d’Italia. Inseriti nelle loro liste elettorali, militanti nazifascisti sono riusciti a farsi eleggere nelle amministrazioni locali. Lo testimonia l’elezione con la Lega di Stefano Pavesi, esponente di Lealtà e Azione nel consiglio di zona 8 a Milano.
Il governo Meloni aggrava questo processo di copertura politica. Tra le più alte cariche dello Stato ci sono Ignazio La Russa, Presidente del Senato, che negli anni ‘70 guidava il Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, e Lorenzo Fontana, Presidente della Camera, leghista noto per le sue dichiarazioni omofobe, ultracattoliche e antiabortiste.
Il governo ha subito colpito i soggetti più marginalizzati abolendo il Reddito di Cittadinanza, mostrandosi invece generoso con le classi più abbienti. Si accanisce contro migranti e ONG; ha approvato la famigerata legge “anti-rave” e il decreto sull’ergastolo ostativo.
L’Italia esce da due anni di pandemia che hanno inaugurato uno “stato di emergenza permanente”. Abbiamo ereditato una realtà ancora più frammentata in cui è andata perduta la dimensione collettiva e si è amplificata la solitudine individuale. In questa situazione i discorsi dei camerati fanno presa sulla pancia delle persone: attacchi contro il diritto all’aborto, campagne securitarie che invocano più polizia nelle strade, costruzione del nemico pubblico contro cui riversare il malessere sociale, che sia l’immigrato, il povero, il “diverso”.
Il razzismo permea strati consistenti della società, sfociando in atti di violenza i cui protagonisti non sempre sono appartenenti a gruppi organizzati della destra, ma che ne traducono le peggiori istanze. Ultimo in ordine di tempo è il caso dell’omicidio di Alika Ogorchukwu perpetrato a Civitanova dell’agosto scorso o quello di Youns El Boussettaoui assassinato a Voghera nel luglio del 2021 dall’assessore leghista Massimo Adriatici, rinviato poi a giudizio per eccesso colposo in legittima difesa.
Importante ricordare che in Italia si è assistito a due gravi attentati terroristici di matrice xenofoba. Nel 2011 Gianluca Casseri dirigente di Casapound Pistoia uccide a Firenze a colpi di arma da fuoco Samb Modou e Diop Mor. Il 3 febbraio 2018, in pieno centro a Macerata, Luca Traini, candidato per la Lega Nord, ferisce sei migranti con colpi di arma da fuoco.
Questi episodi si inseriscono in una sequenza di attentati di matrice suprematista bianca che ha insanguinato il Mondo intero negli ultimi anni.
Le responsabilità della situazione attuale sono da ricercare anche nelle politiche neoliberiste del PD, che ha inseguito la destra sul terreno della repressione (vedi la legge Minniti sull’immigrazione e gli accordi con la Libia o la non completa abolizione del pacchetto Salvini sull’ordine pubblico).
Il nostro compito oggi è quindi combattere sia il fascismo di strada che quello istituzionale. Antifascismo non è difesa della democrazia e della Costituzione, ma significa battersi contro questo sistema autoritario, liberista e patriarcale.

CAPITALISMO

We live in capitalism, its power seems inescapable — but then, so did the divine right of kings.
Any human power can be resisted and changed by human beings.

Ursula Le Guin

La storia ci insegna come il fascismo sia sempre stato uno strumento al servizio del sistema capitalista, utilizzato dalle classi dominanti fin dalle origini. Anche oggi in Italia e in Europa le organizzazioni di estrema destra con la loro propaganda razzista sono funzionali allo sfruttamento capitalistico.
La gestione dei fenomeni migratori si piega alla necessità di creare profitto, contando su masse di lavoratori migranti senza documenti, sfruttati con il lavoro nero e ridotti a condizioni da fame. Questo processo determina un meccanismo di ricatto e peggioramento delle condizioni dei lavoratori più ‘garantiti’, innescando la logica della guerra tra poveri.
Negli anni ’20 e ’30, di fronte all’avanzata delle forze rivoluzionarie che cercavano di costruire un mondo equo e giusto partendo dalle rivendicazioni operaie e contadine, la borghesia non ha esitato ad appoggiare la presa del potere dei fascismi in tutta Europa.
In modo analogo tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70, in un mondo diviso dalla guerra fredda, gli Stati Uniti e gli altri governi NATO, in particolare l’Italia, non esitarono ad armare la mano dell’estremismo di destra per l’esecuzione di stragi e attentati. Un terrorismo fascista e di Stato il cui obiettivo era colpire i movimenti rivoluzionari e di protesta sociale che animavano la forte stagione di lotte di quegli anni.
Anche nel presente le destre continuano a essere al servizio del capitalismo. A livello sociale le organizzazioni neofasciste tentano di inserirsi sul terreno delle lotte quali casa, scuola e lavoro, da una prospettiva nazionalista e xenofoba, funzionale agli equilibri del capitale. All’interno dell’attuale congiuntura di crisi, in una società sempre più meticcia, la destra radicale ha gioco facile nel fomentare guerre tra poveri, frammentando il tessuto sociale, per erigere muri tra “razze culturali” e impedire una ricomposizione di classe.

L’imperialismo e la guerra

Il capitalismo è un sistema competitivo che prevede anche la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie economiche: nel mondo attualmente ci sono oltre cinquanta guerre, in gran parte figlie di interessi geopolitici estranei a qualsiasi tipo di prospettiva di emancipazione delle classi subalterne.
Gli Usa, con l’aiuto dei paesi europei, sono stati i maggiori produttori di guerre dell’ultimo secolo e oggi un conflitto armato è arrivato nel cuore dell’Europa, al culmine di un tentativo da parte della NATO di espandersi a est.
Un conflitto che vede lo scontro sul campo tra grandi potenze mondiali dettato dalla volontà di conquistare un’egemonia politica sull’area e di cui a pagarne il prezzo sono le classi popolari dei Paesi coinvolti. E’ necessario esprimere solidarietà alle popolazioni colpite rifiutando la propaganda di guerra dei media italiani che stanno dando una lettura unilaterale del conflitto, rimuovendo qualsiasi riferimento alle responsabilità NATO nella genesi della guerra e cercando di tacciare come sostenitrice di Putin ogni voce fuori dal coro.
In questo quadro è necessario esprimere un fermo dissenso alla partecipazione a questo conflitto da parte del Governo Italiano, ribadendo l’opposizione alle sanzioni alla Russia e all’invio delle armi all’Ucraina, reclamando con forza l’uscita dell’Italia dalla NATO e la chiusura di tutte le basi militari statunitensi presenti sul nostro territorio, rivendicando un diritto alla pace, all’autodeterminazione dei popoli e alla lotta di classe contro l’oppressione di qualsiasi governo borghese, capitalista e oligarchico.
Gli effetti della corsa al riarmo pesano quasi interamente sulle classi subalterne: le spese militari in continuo aumento sono tra le principali responsabili del carovita e dello smantellamento dello stato sociale.
Essere antifasciste e antifascisti vuol dire essere contro tutte le guerre figlie di imperialismi e nazionalismi; guerre che arricchiscono il capitale, pagate dalle classi subalterne, dalle popolazioni civili, dalle persone rese più deboli, da un punto di vista umano, sociale, economico e ambientale. Siamo contro il proliferare della produzione e del commercio di armamenti. Siamo contro le logiche di potenza e di dominio del mondo della NATO. Siamo per l’autodeterminazione dei popoli, a fianco di chi insorge e si rivolta alla dittatura del profitto.

LOTTE SOCIALI

Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni epoca e in ogni circostanza, ma mai, senza lotta, si potrà avere la libertà

Fidel Castro

Mentre i conflitti armati imperversano a diverse latitudini del pianeta, viviamo una crisi sistemica, in cui un’economia di guerra genera carovita, compressione dei salari, precarizzazione. Si intensificano gli attacchi repressivi alle lotte che animano le città e i luoghi di lavoro, forme di resistenza a sfruttamento e privatizzazioni (sanità, edilizia popolare, scuola).
Il ricordo di Dax si deve intrecciare, oltre che con l’antifascismo, con le lotte sociali di cui lui stesso è stato protagonista, con uno sguardo alle istanze più attuali, come le vertenze ambientali, climatiche e le mobilitazioni studentesche, per coltivare una memoria che sappia guardare al futuro.

Casa

La lotta per la casa non è una battaglia di retroguardia ma è oggi più che mai una lotta per cambiare modello sociale ed economico; è una lotta di classe intesa come possibilità di riscatto collettivo contro lo stesso sistema capitalista che produce miseria e sfruttamento. Al di là delle battaglie contingenti, la sfida di questa lotta, legata a doppio filo con la trasformazione rivoluzionaria della società, non si può risolvere in un solo territorio, ma deve essere affrontata unendo le forze e le esperienze che attraversano i diversi movimenti, per poter incidere in modo efficace sul piano dei rapporti di forza.
È compito nostro fare tesoro dell’insegnamento di chi come Dax è sempre stato in prima linea per rivendicare il diritto alla casa. Ci ricorda che il concetto di legittimità, basato sull’elementare principio che identifica nel diritto all’abitare un diritto inalienabile di ciascuno di noi deve essere sostituito al concetto di “legalità”, dietro al quale si celano gli interessi di chi gestisce la ricchezza e vuole riprodurre questo regime di privilegi e sfruttamento. Una battaglia lunga, ancora tutta da combattere, ci attende.
A Milano, grandi eventi (da Expo alle Olimpiadi invernali) e mito della proprietà privata, accelerano evidenti fenomeni di gentrificazione, con la “riqualificazione” di quartieri periferici e la “rigenerazione” di grandi aree dismesse, per la felicità del mercato immobiliare di lusso e dei grandi conglomerati finanziari. Mentre l’amministrazione di “centrosinistra” cerca di costruire l’immagine di una città pacificata, l’espulsione delle classi sociali più svantaggiate nelle periferie o verso l’hinterland è ormai un fenomeno consolidato, che si accompagna alla creazione di quartieri sempre più esclusivi: viviamo in città da una parte sempre più cementificate e dall’altra sempre più escludenti, dove la costante ricerca dell’attrattività cancella storia e identità dei nostri quartieri.
In questi anni abbiamo assistito ad un impoverimento costante della popolazione, accompagnato da un inasprimento esponenziale nei meccanismi di repressione del dissenso. Abbiamo infatti assistito al dilagare dei comitati per il diritto all’abitare, che si sono sviluppati trasversalmente da Nord a Sud in tutte le principali città Italiane. Una fetta consistente di popolazione colpita dalla crisi economico-finanziaria ha cercato nelle pratiche collettive dei movimenti per la casa un’alternativa all’isolamento. La lotta per l’assegnazione delle case popolari e la rivendicazione della pratica delle occupazioni delle case sfitte, così come il blocco di sfratti, sgomberi e pignoramenti tramite picchetti, presidi e cortei sono stati il baricentro dei movimenti per il diritto all’abitare, che continuano ad affermare la centralità dei bisogni sociali nelle politiche pubbliche e indicano una prospettiva di trasformazione fondata sull’uguaglianza.
Il sistema legislativo non ha tardato ad adeguarsi attraverso una serie di provvedimenti che sono parte di un unico disegno, di destra e di “sinistra”, con il duplice obiettivo di colpire qualunque autonomia sociale e autorganizzazione dal basso, lasciando però intatto il quadro strutturale dei problemi, delle disuguaglianze di accesso alla casa e della carenza di politiche sociali e abitative efficaci.
Tra questi il Piano Casa sancisce ufficialmente la svendita del patrimonio residenziale pubblico (art.3), l’impossibilità di richiedere l’iscrizione anagrafica e gli allacci di acqua, luce e gas per persone e famiglie che vivono in un immobile occupato (art.5). Sulla scorta del Piano Casa sono inoltre state emanate diverse leggi regionali (nel caso della Lombardia la 16/2016) che incrementano il processo di privatizzazione e la svendita del patrimonio immobiliare pubblico, innalzano i requisiti di accesso alle graduatorie e inaspriscono le misure repressive per prevenire le occupazioni.

È in questo quadro giuridico che viene gestita la questione abitativa a Milano. Tra le città con gli affitti più cari d’Italia, conta migliaia di case popolari sfitte o inagibili e decine di migliaia di persone tagliate fuori dalla graduatoria delle assegnazioni. Per l’esattezza 9.839 alloggi popolari sfitti o inagibili a fronte di 27.000 assegnatari in graduatoria nel solo Comune di Milano. Qui si sono cristallizzate tutte le contraddizioni che la questione abitativa porta con sé. A fronte di un’emergenza sempre più grave, sfratti e sgomberi sono all’ordine del giorno e in questi anni si sono susseguite maxi-operazioni repressive, dirette in particolare verso i tentativi di autorganizzazione collettiva.
L’apice di questa stretta repressiva si è concretizzata il 14 dicembre 2018, con l’operazione dei Carabinieri scattata all’alba in uno dei quartieri storici delle lotte operaie milanesi degli anni ’70, il Giambellino. Un quartiere oggi sventrato dalla trasformazione urbanistica con l’arrivo della nuova linea M4 della metropolitana e i finanziamenti europei stanziati per un presunto “piano di riqualificazione”. Nove compagn* appartenenti al Comitato Abitanti Giambellino – Lorenteggio vengono messi agli arresti domiciliari con l’accusa di aver creato un’associazione a delinquere finalizzata all’occupazione abusiva di alloggi sfitti.
La sentenza di primo grado del novembre 2022 conferma l’impianto accusatorio dell’associazione a delinquere con finalità di occupazione e resistenza, con condanne pesantissime che vanno da un minimo di un anno e sette mesi fino ad un massimo di cinque anni e cinque mesi.
L’utilizzo del reato di associazione a delinquere, oltre a determinare condanne spropositate a chiunque voglia unirsi e organizzarsi in una lotta, mira a togliere la dignità politica alle diverse forme di opposizione sociale. In tutta Italia la magistratura sta cercando di sdoganare questo reato per colpire diverse realtà: dall’Askatasuna di Torino al movimento NoTav, passando per Napoli con il comitato dei disoccupati 7 novembre, per arrivare fino a Piacenza, dove a essere incriminati sono stati i lavoratori del sindacato conflittuale Si Cobas e Usb.
Tutte queste operazioni fanno parte di una strategia repressiva a cui è necessario opporsi con forza, alimentando le pratiche di lotta e resistenza incriminate e rimandando le accuse al mittente. Criminale è chi sgombera e trasforma il diritto alla casa in un privilegio per pochi, chi devasta territori con grandi opere inutili, e chi sfrutta quotidianamente la classe lavoratrice.

Lavoro

La pandemia ha reso più evidenti forme di sfruttamento nel mondo del lavoro e ne ha create di nuove.
Gravemente colpite sono state le categorie di lavoratori intermittenti non tutelati, come ad esempio i lavoratori dello spettacolo, autorganizzatisi in un percorso di lotta.
Le piattaforme di sharing economy hanno sdoganato inediti processi di precarizzazione: particolarmente significative a tal proposito sono state le vertenze dei riders, come forme di protagonismo, spesso autorganizzato, di lavoratrici e lavoratori migranti.
Si è affermata in questi anni la pratica dello smart working, rischiosa deriva di un processo di isolamento e sovrapposizione dei tempi di vita e lavoro, specie quando imposto al puro scopo di esternalizzare il costo del lavoro sulle spalle dei dipendenti. Milano, capitale del terziario avanzato, è stata significativamente investita da questi fattori.
Nonostante questo scenario si registra un conflitto sociale basso sul posto di lavoro, complice una costante politica di accordi al ribasso tra aziende e sindacati confederali e la crescente atomizzazione dei contesti di lavoro.
Il mondo della logistica si pone in controtendenza, rappresentando un esempio combattivo in termini di rivendicazioni e pratiche di lotta. Negli ultimi anni sono state decine le occasioni di picchetti dove gli operai hanno lottato contro lo squadrismo fascista di padroni italiani e multinazionali, intervenuti in accordo con le forze di Polizia. Fascismo e razzismo non sono una novità per gli operai in lotta. Il fascismo nasce proprio con gli assalti a picchetti e manifestazioni, e continua ad avere lo stesso ruolo nelle mani del potere.
L’azione repressiva e anti-operaia congiunta tra Stato, padroni e neofascisti si è palesata più volte. Le azioni di crumiraggio, operate da lavoratori probabilmente assuefatti dalla retorica xenofoba e razzista degli ultimi governi e dalla pressione di quei padroni disposti a tutto pur di far muovere le merci, si sono spinte fino all’omicidio del sindacalista di SI COBAS Adil durante uno sciopero nazionale a Novara, fuori dai cancelli della Lidl. In quel caso è stata disposta un accusa per “omicidio stradale” nei confronti di chi ha commesso il reato, senza considerare alcuna responsabilità da parte dell’azienda che premeva per la fine del blocco dei cancelli.
Il processo di sindacalizzazione autorganizzata oggi si scontra con gli attacchi di procure e Ministero degli Interni. Una repressione culminata nell’estate del 2022 con l’arresto di quattro compagni del SI Cobas e di due sindacalisti di Usb, accusati di associazione a delinquere nel tentativo di equiparare delle organizzazioni sindacali a un vero e proprio sodalizio criminale.
Queste esperienze hanno saputo combattere il razzismo delle istituzioni e dei padroni lottando per il riconoscimento di una posizione giuridica a partire dal posto di lavoro, contrastando le discriminazioni, facendo emergere vessazioni e abusi del caporalato su lavoratrici e lavoratori maggiormente ricattabili perché immigrati.
La battaglia dei lavoratori e delle lavoratrici della logistica dimostra come l’emancipazione degli sfruttati si giochi nel vivo degli scioperi e dello scontro di classe. Fino a quindici anni fa nei magazzini regnava l’arbitrio più totale: i caporali potevano scegliere il numero di operai a seconda del regime di flessibilità, chiedere diritti elementari, come l’assunzione o l’applicazione di un contratto regolare di lavoro, significava perdere il posto.
Oggi le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori devono connettere il tema dell’antifascismo con quello dell’antirazzismo e dell’internazionalismo, diventati un terreno di crescita politica nei magazzini della logistica, dove la maggior parte degli iscritti ha già vissuto sulla propria pelle e nel Paese d’origine gli effetti delle guerre coloniali portate avanti dalle democrazie occidentali in Africa e Medio Oriente.
I lavoratori della logistica, che oggi possono vantare una posizione di avanguardia rispetto ad altri settori dell’industria interna al paese, avanzeranno su un terreno sempre più ripido se non ci si renderà conto della responsabilità di dover ritessere i legami con tutti i protagonisti delle lotte sociali che hanno inquadrato nell’attuale fase e nella struttura capitalistica un punto di non ritorno, una condizione impossibile da riformare.

Scuola

A seguito dell’alienante periodo di emergenza Covid-19, studentesse e studenti di tutta Italia hanno percepito la necessità impellente di rivendicare spazi e tempi che nel corso degli anni si sono visti sempre più sottrarre, all’interno della scuole – sempre meno attraversabili e accessibili a tutti e tutte – come nelle strade e nella società tutta.
In questo senso l’azione dal basso è diventata fondamentale: quanto più la scuola si trasforma nello spazio del privato e degli interessi delle aziende, tanto più le nostre risposte devono tradursi nell’occupazione permanente di scuole, parchi e palestre, nell’autorganizzazione, nel confronto e nello scambio di idee, ideali e pensieri. Le scuole ci appartengono. Un esempio recente è quello della marea di occupazioni che l’anno scorso ha attraversato tutta l’Italia, nient’altro che la punta dell’iceberg di un disagio generazionale diffuso e profondo.
Le occupazioni che si sono susseguite dal ritorno alla didattica in presenza ad ora sono state di fondamentale importanza. Hanno infatti reso possibili momenti di socialità, confronto e scambio, momenti che costituiscono una tra le pratiche antifasciste più efficaci e diffuse all’interno del tessuto giovanile, poichè consente di creare comunità unite, solidali e coese, dove chi ne fa parte ha la possibilità di sviluppare pensieri critici e autonomi condivisi entro discorsi collettivi, riconoscersi in uno spazio libero e propositivo e vivere in maniera alternativa la realtà arida e piatta che ci circonda al di fuori delle forme di oppressione che quotidianamente subiamo.
In questo contesto il ruolo di studenti e studentesse deve essere quello di portare avanti pratiche e metodi già sperimentati e interiorizzati, ma al tempo stesso di proporne di nuovi, al passo con abitudini e necessità in continua evoluzione. Creare comunità resistenti e consapevoli all’interno di ogni scuola significa creare una rete di partecipazione e scambio orizzontale, che sia in grado di favorire la circolazione dei saperi e, di conseguenza, anche la condivisione di pratiche di lotta, spunti politici e ideologici.
È fondamentale sviluppare una memoria collettiva antifascista solida e diffusa, ed è proprio attraverso pratiche di lotta in continuo stato di rinnovamento e compatibili alle abitudini di studenti e studentesse che si è in grado di creare momenti di condivisione di memorie ed esperienze.
La scuola e la società non possono essere intese come entità separate, ma anzi come due realtà che si contaminano l’un l’altra. Gli studenti e le studentesse devono lottare per una scuola antifascista, anti-autoritaria e libera da ogni forma di prevaricazione e sopruso. Nel farlo, però, è nodale non dimenticarsi che le strutture gerarchiche interne agli istituti scolastici sono frutto di un sistema esistente al di fuori delle scuole: l’alternanza scuola-lavoro è in questo l’esempio più intuitivo ed palese della sempre più invadente intrusione della privatizzazione all’interno delle scuole. Con provvedimenti come questo si procede a normalizzare lo sfruttamento di studenti e studentesse, ma soprattutto alla discriminazione classista tra chi frequenta il liceo e chi un istituto tecnico o professionale: mentre i primi aderiscono ad iniziative culturali inerenti al programma didattico, gli istituti tecnici e professionali mandano spesso e volentieri i propri studenti e le proprie studentesse a lavorare per ore in magazzini e uffici, spesso oltre all’orario scolastico delle lezioni, stipulando contratti e stringendo accordi rispetto ai quali studenti e studentesse rimangono totalmente impotenti e all’oscuro. E come se non bastasse, per poter essere ammessi e ammesse alla maturità, gli studenti e le studentesse devono obbligatoriamente avere un minimo di 90 ore di alternanza nei licei, 150 negli istituti tecnici e 210 nei professionali. Uno sfruttamento spacciato per percorso di formazione che è costato la vita, in meno di un anno, a tre studenti: Lorenzo, Giuseppe e Giuliano.
Come antifasciste e antifascisti lottiamo per scuole libere e attraversabili da tutti e tutte, ma questa condizione non sarà possibile fino a che nella società tutta il fascismo non verrà sradicato dalle sue radici più profonde.

Ambiente

La scelta di organizzare la COP 27 in un paese con un regime autoritario come l’Egitto, che basa la sopravvivenza del suo regime sullo sfruttamento massiccio dei combustibili fossili, è emblematica della gestione politica della crisi ecologica. Da una parte sottolinea l’ipocrisia delle proposte con cui il sistema neoliberale e la vuota retorica della sua classe dirigente riproducono le logiche del Capitale e del profitto nella cornice del rinnovamento green; dall’altra rende evidente quanto la ristrutturazione sistemica del capitalismo in ottica smart ed eco-sostenibile abbia bisogno di esclusività e controllo militare. Sappiamo per certo che il meccanismo della COP, in quanto emanazione dell’ONU, non può essere la soluzione per invertire il processo di devastazione ecologica in atto ai danni del pianeta.
Intanto multinazionali energetiche e gruppi finanziari hanno aumentato esponenzialmente i prezzi di gas ed energia dichiarando l’impossibilità di avere il gas al costo precedente la guerra. Una società come Eni ha continuato e continua ad acquistare il gas russo ad un prezzo bloccato (sulla base di accordi pluriennali) rivendendolo però a cittadini e imprese ai costi altissimi che ben conosciamo. Questa speculazione è avvenuta con il beneplacito dei governi Draghi e Meloni. Il giochino degli extraprofitti soddisfa azionisti e fondi di investimento delle banche, mentre a pagarne le conseguenze sono le classi subalterne, perché, oltre al rincaro delle bollette, con l’aumento del prezzo dell’energia aumenta il costo di produzione delle materie prime, dei trasporti e di conseguenza i prezzi dei beni di prima necessità. Carovita e crisi climatica si alimentano a vicenda, come lo stato d’emergenza perenne alimenta le manovre di austerità dei governi di qualsiasi colore nell’indifferenza per la “salvaguardia ambientale”. Le responsabilità, in ogni caso, vengono scaricate verso i singoli soggetti che stanno alla base della società, nella falsa convinzione che “piccoli gesti individuali” possano rivoluzionare il mondo. Tuttavia gli aumenti (come i prezzi della benzina o dei biglietti ATM) sono pagati due volte dalle persone comuni: in bolletta e con l’innalzamento del costo della vita.
In questo contesto lo Stato italiano e i grandi investitori privati non fermano la loro rincorsa per accaparrarsi gli ultimi lembi di territorio rimasti, o per “riconvertire” quelli già in uso attraverso sapienti operazioni di greenwashing. Un esempio è il rigassificatore situato al largo delle coste di Piombino che, progettato senza una valutazione dell’impatto ambientale, servirà per processare gas liquido dalle zone interessate dalle attività dei GIS (gruppo di intervento speciale) nella vicina base militare di Coltano. Occorre inoltre ricordare la scelta del nuovo governo, con l’emendamento al decreto Aiuti-ter, di procedere con le trivellazioni per l’estrazione del gas, ormai considerato dall’Unione Europea risorsa “green”.
Non c’è niente di “normale” nello scioglimento del ghiacciaio della Marmolada, nelle alluvioni nelle Marche, nelle tonnellate di CO2 emesse nell’atmosfera dalla produzione industriale di merci superflue, negli allevamenti intensivi, nella costruzione di grandi opere inutili (come quelli strumentali alla realizzazione di Milano-Cortina 2026) e nella cementificazione selvaggia. Questi fenomeni non hanno niente di “naturale”, perché sono la diretta conseguenza della violenza con cui chi detiene il potere consuma quotidianamente gli ecosistemi. Le risposte allora non stanno nel mercato e nella crescita infinita, ma in un cambiamento radicale nei modi di produzione, nel bisogno collettivo di abitare alternativamente i territori al di fuori delle dinamiche estrattiviste.
Grazie ai femminismi sappiamo che l’ambiente e i nostri corpi si influenzano a vicenda. Eppure vediamo che questo ambiente non è lo stesso per tutti: ad alcuni sono riservati privilegi ambientali a cui altri non hanno diritto. È necessario avere accesso ad aria ed acqua pulita, a cibo nutriente, alla possibilità di prenderci cura della salute nostra e degli altri: ogni questione ambientale è una questione riproduttiva, e viceversa.
Quella che chiamano “rigenerazione” non è possibile là dove inceneritori, discariche e fabbriche intossicanti tolgono la possibilità di respirare a chi abita col proprio corpo zone contaminate.
Vogliamo ribadire a gran voce che non pensiamo all’ambiente come a uno spazio in cui collocarci, come a un luogo a cui arrivare, né come a un insieme di risorse. L’ambiente per noi non è un contenitore, e nemmeno una scenografia. Abbiamo imparato a riconoscere l’ambiente come intreccio tra ecosistemi, spazi sociali, natura e cultura, umano e non-umano. Il “nostro” ambiente è lo spazio che abitiamo nel bel mezzo di decisioni politiche, manovre economiche e depauperamento della biodiversità. Per questo, oggi più che mai, è necessario inquadrare la lotta ecologista e climatica in una prospettiva antifascista e anticapitalista.
Salvare l’ambiente significa toglierlo dalle mani rapaci di padroni e capitalisti, da quelle escludenti e fasciste del controllo poliziesco, combattere per il crollo di ogni imperialismo politico ed economico. Allo stesso tempo significa lottare per i diritti, perché non esiste giustizia climatica senza giustizia sociale!

ANTIFASCISMO SOCIALE

Quando si sogna da soli è un sogno, quando si sogna in due comincia la realtà.

Che Guevara


L’antifascismo è qualcosa di più di una lotta specifica: è una lotta a 360 gradi contro l’esistente “capitalista”.
Occorre quindi rivedere il lato sia teorico che pratico dell’antifascismo, consapevoli della parzialità delle sole pratiche militanti e al contempo dell’incompletezza di un’attitudine esclusivamente culturale.
Un discorso antifascista sociale deve poter svolgere un esercizio quotidiano di decostruzione del patriarcato.
Il transfemminismo e la postura intersezionale, intesa come continuo intrecciarsi delle oppressioni (razziali, di genere, di classe) ci aiutano nel provare a liberarci da quei residui patriarcali che inquinano i nostri vissuti. Queste prassi dovrebbero creare una base di valori che scardinano modalità sessiste, autoritarie ed egemoniche, indotte dalla cultura dominante nel sistema capitalista.
Opporsi ad uno sfratto, resistere ad uno sgombero, bloccare una nave da guerra fuori da un porto, supportare i picchetti dei lavoratori in lotta, combattere contro la violenza di genere o lottare per la sanità pubblica e accessibile, sono oggi pratiche di conflitto, di resistenza, pratiche concrete di antifascismo sociale. Così come lo sono quelle modalità di organizzazione autonoma e comunitaria territoriale che promuovono una forma di vita antifascista: dalle palestre ai doposcuola popolari, dagli ambulatori alle radio e agli spazi autogestiti.
All’isolamento, all’individualismo e all’atomizzazione che disgregano il tessuto sociale, aggravati dalla pandemia, dobbiamo saper opporre un divenire comunità, riportare l’io a sentirsi parte di un noi, riuscire a soddisfare il naturale bisogno di appartenenza e di sicurezza attraverso forme di autorganizzazione, consentendo agli abitanti dei quartieri di vincere la paura e la solitudine. Dove il capitale è intervenuto a distruggere le relazioni quotidiane, lasciandoci isolati e divisi davanti ai nostri problemi e bisogni, dobbiamo elaborare una risposta collettiva, una rete sociale che sappia diventare comunità attraverso la solidarietà, il mutualismo, l’organizzazione autonoma e di autogoverno in modo da permetterci di riprendere il controllo delle nostre vite, sentirci sicure e sicuri, libere e liberi.
Condivisione, solidarietà, mutuo appoggio sono i valori in base ai quali, per anni, si sono costruite palestre e cucine popolari, rassegne di cinema gratuite, gruppi di acquisto solidali e spacci alimentari, festival di controcultura, officine e falegnamerie popolari, ambulatori e spazi sociali: tutto con l’autorganizzazione dal basso, indipendente da qualsiasi ente statale.
L’antifascismo sociale costituisce uno strumento di organizzazione della vita comune. Rappresenta per noi una delle possibili pratiche di rovesciamento dello status quo. Uno strumento per costruire una potenza, delle comunità antifasciste capaci di unirsi per lottare contro le ingiustizie.
L’antifascismo nella sua totalità diviene così contenitore anche di altre rivendicazioni sociali apparentemente diverse. In quest’ottica è fondamentale partire da un approccio che si confronti con le necessità dei territori, affinché nelle comunità che li abitano si radichi una forma di vita non fascista in cui idee intolleranti non possano trovare terreno fertile.
Costruire delle comunità resistenti che sappiano opporsi al fascismo in tutte le forme che assume oggi, nel tentativo di indirizzare verso l’alto quei conflitti che derivano dal disagio sociale e che troppo spesso si scagliano invece verso i soggetti più marginalizzati.
Per agire un antifascismo sociale occorre attuare un insieme di pratiche per costruire comunità resistenti, impostate dal punto di vista etico, politico, relazionale e culturale, come essenzialmente antifasciste; strumento di contrasto di un fascismo multiforme, diffuso e populista. Un antifascismo capace di combattere non solo a livello culturale o militante, ma sul terreno della mobilitazione politica e del radicamento dei propri discorsi nei territori.

20.01.2023

All’atto della diffusione di questo documento politico, il compagno anarchico Alfredo Cospito, recluso nella sezione di tortura di 41 bis del carcere di Bancali a Sassari, è giunto ad oltre 90 giorni di sciopero della fame nella sua lotta contro appunto il 41 bis e l’ergastolo ostativo; ricordiamo che in questo annichilente ed annientante regime carcerario vi sono reclus* anche 3 compagn* comunist* (Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma) insieme ad oltre 700 persone. La repressione allarga le proprie trame e non smette mai di colpire: dal 41bis al reato di devastazione e saccheggio, passando per le resistenze ai vari cortei ed arrivando alle inchieste per associazioni a delinquere per processare le lotte sociali.
Ad oggi molt* altr* compagn* sono in carcere, è importante ricordare chi con le proprie vite, le proprie lotte e le proprie pratiche ha attraversato la città di Milano ed ora è recluso, in galera o dentro un appartamento, oppure sta aspettando decisioni di corti varie e depositi di sentenze: la nostra solidarietà va a Vince, Casper, Dayvid e Maurizio.
La lotta di Alfredo contro il carcere e contro uno dei suoi più crudeli dispositivi di annientamento dell’individuo, rientra tra le pratiche di resistenza all’autoritarismo dello Stato.
Nell’affermare valori antifascisti e anticapitalisti non possiamo non solidarizzare con la sua battaglia, denunciando come il silenzio assordante degli apparati dello Stato equivalga a una condanna a morte.

Assemblea verso il 16 marzo 2023

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